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Dal campo al frantoio: tutte le fasi della produzione dell’olio extravergine

Ci sono storie che non iniziano tra le mura di un’azienda, ma sotto il sole, tra le foglie degli ulivi e le pietre calde di un muretto a secco. La nascita di un buon olio extravergine comincia lì, in campagna, molto prima che l’etichetta venga stampata o la bottiglia finita su uno scaffale. Ed è una storia fatta di scelte, di tempo, di pazienza. Ogni fase ha il suo peso, ogni dettaglio incide sul risultato. È così che si distingue un prodotto qualunque da un olio che lascia il segno.

Conoscere davvero le fasi della produzione significa imparare a riconoscere la qualità, ad apprezzare la coerenza tra la terra e il piatto. Non è solo una questione tecnica. È un percorso che rivela cosa c'è dietro ogni goccia di quell’oro liquido che diamo troppo spesso per scontato.

La raccolta: quando il tempo fa la differenza

La raccolta delle olive è il primo grande spartiacque. Inizia tra ottobre e novembre, e può prolungarsi fino a dicembre, ma il momento esatto dipende da molti fattori: altitudine, cultivar, clima, esposizione. Scegliere il giorno giusto è come cogliere un frutto alla sua massima espressività.

Un’oliva troppo matura produce più olio, ma meno profumi. Una acerba, invece, dà poco ma potente. Qui il produttore deve decidere: quantità o qualità?

Inoltre, conta come si raccolgono. Le olive cadute a terra non vanno bene. Quelle strappate con troppa forza rischiano di rovinarsi. I sistemi meccanici più moderni permettono una raccolta veloce e rispettosa, ma c’è ancora chi usa le mani, chi conosce ogni albero e ne intuisce i tempi.

Dalla pianta al frantoio: la corsa contro l’ossidazione

Il passaggio successivo è delicato. Il tempo che intercorre tra la raccolta e la molitura è cruciale. Ogni ora di attesa, ogni sacco lasciato al sole, ogni cassetta che resta in macchina può compromettere la qualità.

Un’oliva danneggiata o lasciata a fermentare anche solo per mezza giornata inizia a produrre difetti: sapori di terra, odori di muffa o di vino. Per questo, nei frantoi artigianali, il ritmo diventa frenetico. Si lavora a vista, si carica e si scarica nel giro di poche ore.

Ed è qui, nei primi momenti, che si decide il destino sensoriale dell’olio.

La frangitura: la materia si trasforma

Una volta arrivate al frantoio, le olive vengono defogliate e lavate, per rimuovere impurità e foglie residue. Poi inizia la frangitura, cioè la rottura fisica delle drupe.

Le olive intere, con nocciolo, vengono schiacciate fino a formare una pasta densa, scura, profumatissima. Questo passaggio può avvenire con macine in pietra, in alcuni casi ancora usate per lavorazioni tradizionali, o più frequentemente con frangitori moderni in acciaio, che assicurano una resa più omogenea e rapida.

È proprio in questa fase che inizia davvero la produzione dell’olio, anche se l’olio, a occhio nudo, ancora non si vede.

La gramolatura: dove si costruisce l’aroma

Il nome non dice molto, ma è un momento fondamentale. La gramolatura consiste nel mescolare lentamente la pasta di olive per circa 30–40 minuti, a una temperatura controllata.

Questo consente alle microscopiche gocce di olio di aggregarsi, rendendo più facile l’estrazione successiva. Ma attenzione: se si superano i 27°C, gli aromi volatili si perdono, così come parte dei polifenoli. L’olio diventa più piatto, meno vivo.

Lavorare a freddo, come si dice spesso, non è una moda. È una scelta tecnica e culturale. Richiede più attenzione, più tempo, meno resa. Ma il risultato è un prodotto autentico, ricco, profondo.

L’estrazione: quando l’olio prende forma

Arrivati a questo punto, il frantoio profuma di verde, di erba tagliata, di mandorla. È qui che il mosto oleoso viene separato dal resto della pasta attraverso centrifughe ad alta velocità.

La magia è tutta meccanica: niente solventi, niente additivi chimici, solo fisica e forza centrifuga. Ne esce un liquido dorato o verdastro, ancora torbido, con micro-particelle in sospensione.

È l’olio extravergine appena nato, ancora grezzo, pieno di energia. In alcuni casi, verrà filtrato, in altri lasciato com’è. La scelta dipende dalla filosofia del produttore, dal tipo di prodotto che si vuole ottenere.

Il riposo e la conservazione: silenziosa maturazione

Anche l’olio ha bisogno di riposo. Dopo l’estrazione, viene lasciato in contenitori d’acciaio inox chiusi ermeticamente, lontani da luce e calore, per decantare naturalmente. Le particelle residue si depositano lentamente sul fondo, rendendo il liquido più limpido.

La fase di conservazione è critica: basta un’esposizione alla luce o all’aria per iniziare l’ossidazione. Per questo, i contenitori devono essere pieni fino all’orlo, protetti e controllati.

Solo un olio ben conservato potrà mantenere, nei mesi successivi, tutta la sua carica aromatica e le proprietà nutrizionali che lo rendono così prezioso.

L’imbottigliamento: la forma racconta il contenuto

Quando tutto è pronto, arriva il momento dell’imbottigliamento. Anche qui nulla va lasciato al caso. La scelta del vetro scuro o della latta non è estetica: serve a proteggere dall’ossigeno e dai raggi UV. Le etichette raccontano la storia del prodotto, ma vanno lette con attenzione.

Una buona bottiglia indica la campagna olearia, la varietà di olive, il metodo di estrazione. Talvolta racconta anche il luogo preciso, il nome del frantoio, la sua filosofia. Lì capisci se hai tra le mani un prodotto di valore o un semplice riempitivo da scaffale.

Dall’albero alla tavola: il ciclo che si rinnova

Ogni olio racconta una stagione, un luogo, una mano. È il risultato di tante decisioni quotidiane: quando raccogliere, come frangere, quanto gramolare. Nulla è casuale. Nulla è replicabile all’infinito.

Quando versi un olio su una fetta di pane caldo, stai facendo molto più che condire: stai celebrando un processo agricolo millenario, una cultura che resiste alla logica della velocità e del profitto.

E se senti qualcosa muoversi dentro mentre lo assaggi, non è solo questione di gusto. È il segno che quel percorso, dal campo al frantoio, ha funzionato davvero.